“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori, e là ti cercavo…….. Eri con me e io non ero con te.”…… Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.
Sant’Agostino.
Come risvegliata da un torpore che l’ha resa cieca per tanto tempo, inerte di fronte a tanta bellezza, la città subisce, ora, il fascino delle sue rovine, cede al loro irresistibile richiamo, e vi si lega indissolubilmente per conseguire un’agognata “pace” e una perfetta armonia, rintracciabile nella ricerca di una nuova identità e di una più accattivante dimensione urbana. ll Complesso di Sant’Agostino, testimone silente di un insieme pittoresco di architetture in rovina, racchiude i tratti distintivi di un passato che l’ha visto prima monastero, poi fortezza austriaca, poi ancora scuola e ad oggi priva di quel valore sociale e civico che usualmente la città riserva alle grandi e imponenti presenze urbane del territorio.
Il progetto per la riqualificazione dell’ex monastero, degno di conservazione per il suo esclusivo valore testimoniale, punta sull’integrità della testimonianza, sulla conservazione degli originali corpi di fabbrica senza manomissioni, diventando peraltro il punto di riferimento per nuove interpretazioni. Il ricongiungimento con questo comparto di città, aggredito dalla corrosione del tempo, può diventare contemporaneamente emozionante ed estremamente interessante, innescando l’avvio di una nuova scena urbana che scaturisce dall’inedito accostamento del nuovo con l’antico. La rovina di una costruzione, mostra che nella scomparsa e nella distruzione dell’opera d’arte sono cresciute altre forze e altre forme, quelle della natura, e così, da ciò che in lei vive ancora dell’arte e da ciò che in lei vive già della natura può nascere un nuovo intero, una unità caratteristica (G.Simmel).
Muovendo da questo pensiero ci si allontana da qualsiasi tentativo di intervento sul rudere, riservandogli il rispetto dell’integrità fisica, per reimpiegare gli antichi resti in un nuovo e ancora più accattivante disegno d’insieme, un tentativo di ricollegarsi al passato, richiamandone a rivivere i resti in una nuova composizione. L’approccio progettuale sposa la teoria ruskiniana che considera il rudere come manifestazione di un
atto congiunto tra tempo culturale e tempo naturale e di conseguenza esso è intoccabile nella sua stessa testimonianza esemplare di quell’azione. L’architettura una volta compiuta entra nel circolo della cultura e in quello della natura. Assume i caratteri di intoccabilità, cessa di appartenere a
qualunque soggetto particolare ma soprattutto riafferma il proprio diritto naturale di morire. Dunque l’architettura assume la propria fisionomia in funzione anche del trascorrere del tempo. Il tempo segna l’edificio. Si tratta di un elemento fondamentale della stessa architettura. Il primo compito dell’architetto consiste nel conferire una dimensione storica dell’architettura di oggi, il secondo nel conservare quella delle epoche passate come la più preziosa delle eredità. Il rudere rappresenta per Ruskin “la sublimità estrema dell’architettura”, ed è caratterizzato
innanzitutto dal Tempo, che rappresenta “ciò in cui risiede la più grande gloria dell’edificio”. È per questo che il monumento antico va curato, mantenuto, e fatto oggetto di interventi minimi atti ad allungarne il ciclo vitale. I ruderi dell’edificio, ancorchè interessati appunto da minimi interventi, reversibili, di manutenzione per la messa in sicurezza, vengono “immersi” in una nuova scenografia, calati nella contemporaneità
di una nuova epoca, ricollocati in un contesto ricco di nuovi e più attuali significati, in maniera da attribuirgli un valore pittorico aggiuntivo.
Il senso di incompletezza si presta, dunque, in questo contesto, ad essere compensato mediante il suo inserimento all’interno di un nuovo ciclo vitale contornato da un suggestivo paesaggio naturale; quasi che la vitalità del verde e il contatto con una nuova architettura, possano completare il senso di interruzione che il tempo o le distruzioni hanno inflitto al frammento architettonico. La riqualificazione del complesso muove dalla permanenza dei segni antichi nelle sue forme neoclassiche, dell’elegante facciata timpanata, scandita da pilastri e lesene, la torre mutila e gli
edifici retrostanti e si materializza con l’inserimento del nuovo edificio che ospiterà il teatro. Il complesso, di straordinaria sedimentazione storica, rimasto muto per alcuni decenni, ricomincia a prendere la parola e ad acquisire significati nuovi all’interno di una più ampia dimensione territoriale. Ed è proprio all’interno di questa dimensione, in cui si intrecciano tempi e scalarità differenti, che questa area può diventare materiale prezioso per costruire inedite forme di urbanità, in cui trovano spazio anche altre dimensioni dell’umano. Mettendo in collisione il desiderio della comunità locale comacchiese che custodisce la speranza di vederlo tornare a nuova vita, con le potenzialità insite in questo luogo, si scopre che fra l’arcaico e il contemporaneo potrebbe esserci un appuntamento segreto e che questa area, se ripensata all’interno di nuovi sistemi di relazione, diventa motivo propulsore per rigenerare la stessa idea di città. Il passato potrebbe allora unirsi “fulmineamente con l’adesso” e dare origine ad un lampo, ad una “costellazione”, ad una immagine “ricca di futuro” (Benjamin, 1977).
Il compito principale è quello di dare completezza all’opera e di sottrarla all’abbandono, rendendola utilizzabile, conferendole una nuova forma ed immagine che, pur nella sua frammentarietà ed incompletezza, risulta assolutamente significativa, intellegibile e carica di valori storici, pluristratificati ed interpretabili, manifestandosi come un’opera d’arte da cui trarre insegnamento e, necessariamente, da preservare, con il minimo di alterazioni possibili, per garantirne la futura evoluzione in spazio culturale e sociale pienamente attivo. Risulta necessario conservare il patrimonio storico, ma l’intervento non può prevedere un rinnovamento dell’opera degradata ed in rovina, attraverso una ricostruzione della sua forma ed immagine originaria, perché ciò indurrebbe alla creazione di un “falso” artistico o storico, ossia un’opera priva di valore e significati, che inganna l’osservatore, privando l’opera della sua dimensione storica. Dalla conservazione scaturisce la convivenza armoniosa, in un unico ed importante luogo, di forme nuove e antiche al fine sia di tramandare la memoria di un luogo tanto caro alla comunità comacchiese, sia di generare un luogo carico di cultura che incontra l’esigenze più contemporanee dell’attuale società. L’oggetto conservato richiama un’antica ricchezza di forma e di colore che l’azione del tempo ha corroso, ma nulla viene fatto per falsarne la visione. Nella sua immagine evocativa ed affascinante, il rudere, rimandando ad altro da sé, deve essere restituito alla vita contemporanea da cui appare, invece, ora drammaticamente separato, l’introduzione di una nuova funzione sociale contribuirà a tessere importanti relazioni sociali e a riconsegnare il luogo alla sua comunità, rinnovato nelle forme e nei contenuti. Tale reinserimento nel paesaggio permette di risvegliare la rovina e proiettarla su un orizzonte presente e futuro, da cui non potrà nuovamente sfuggire, precipitando ancora una volta nella distruzione, ma anzi caricarsi di nuovi simboli e significati alla luce della nuova dimensione urbana ritrovata all’interno del contesto sociale. Il progetto di recupero del impianto conventuale che, pur mostrandosi nella incompletezza e frammentarietà di forma ed immagine, mostra una struttura che conserva importanti resti delle
murature in alzato, diviene un tutt’uno con la nuova architettura teatrale in uno scenario completamente rinnovato e accattivante che invita lo spettatore a godere della visione di eventi e rappresentazioni teatrali all’interno ma anche semplicemente a fruire e beneficiare degli spazi esterni cosi trasformati e rigenerati. L’azione verso il rudere è orientata a non modificare l’entità stessa del monumento in rovina, disperdendone i valori originali, storici ed architettonici, ma considerandolo il baricentro dell’intervento finale; deve mirare alla conservazione della memoria del passato in una forma e immagine moderna ed attuale, l’unica che consente di reinserire, e quindi valorizzare, il monumento nel contesto spaziale e temporale del presente e del futuro. Per una corretta riuscita dell’intervento, pertanto, è necessario scegliere ed attribuire un nuovo uso
che permetta di creare una continuità conservativa e restaurativa, in cui la nuova funzione si pone come un mezzo e non come un fine.
Sulla base dei principi di conservazione, si propone una “controllata trasformazione” e si ammettono azioni che rendano agevole l’uso attuale del rudere, nella sua nuova originale immagine e forma, in modo da generare un rapporto tra antico e nuovo perfettamente equilibrato ed esteticamente valido. Da una parte si persegue e propone il mimetismo ed il rifacimento, a cui si affianca la logica di operare in modo reversibile, minimo e concretizzato in soluzioni e tecniche contemporanee, dall’altra si persegue la libertà progettuale assoluta e creativa, espressa nel nuovo inserto teatrale che completa la trama urbana, in cui l’alternanza di pieni e vuoti è immersa in un suggestivo paesaggio in cui gli elementi naturali sono sapientemente calibrati. I criteri di intervento sono rivolti a collegare il rudere, denso di valori storici pluristratificati, con le preesistenze del contesto immediato e con le strutture contemporanee, restituendolo alla sua interazione con il tessuto urbano, per tessere proficue e più importanti relazioni con gli elementi del contesto circostante.
La ricerca si concretizza, più che come ricomposizione volumetrica unitaria, come definizione spaziale di un percorso che permette di collegare fisicamente il contesto urbano, gli elementi architettonici ed i frammenti in rovina, di selezionare le modalità di fruizione degli spazi e di risolvere problemi di accessibilità.
La conservazione a rudere si configura come conservazione della materia autentica della fabbrica; si studia e si interviene sul contesto fisico-materico per arrestare e limitare, combattendone le cause, gli insorgenti fenomeni di degrado strutturale e materico. Tale intervento, di ruskiniana memoria, tende a fissare la materia e la forma dell’opera così come sono pervenute ad oggi. L’intervento di reintegrazione si concretizza tramite l’uso di un lessico architettonico innovativo, inedito e singolare in modo da creare un perfetto equilibrio, in cui il nuovo si accosta all’antico
lasciato a rudere in una perfetta sintesi urbana.
“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori, e là ti cercavo…….. Eri con me e io non ero con te.”…… Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.
Sant’Agostino.
TipologiaArchitettura Team di ProgettoFilippo Parroni, Studio Bargone Architetti Associati, Francesco Vinci, Luigi Luccioli, Ferdinando MazzaAnno2017LuogoComacchio